Elisa Cencini, presidente Comitato Impresa donna CNA Arezzo: “L’8 marzo sia giornata di riflessione, troppi ostacoli sulla via del lavoro delle donne”

Le imprenditrici, italiane e aretine, sono forti, tenaci, combattive. Contribuiscono a tenere in alto, tra le altre cose, un settore, quello del Made in Italy, che il mondo ci invidia. Eppure, ci sono ancora tanti ostacoli sulla strada del lavoro femminile, soprattutto quando si parla di lavoro dipendente.

A fare il punto della situazione è Elisa Cencini, presidente del Comitato Impresa donna CNA Arezzo: “Che siano dipendenti o imprenditrici, tra gli ostacoli che le donne devono affrontare ogni giorno ci sono la difficoltà di conciliare gli impegni familiari con la vita professionale e il persistere di opportunità di guadagno economico non soddisfacenti, sia se considerate in termini assoluti sia rispetto a quelle maschili. Ciononostante, sempre più donne si sono ricavate uno spazio importante nel sistema produttivo del Paese e forniscono un notevole apporto alla crescita dell’economia italiana. Assurdo che certe porte restino chiuse”.

A dimostrazione dell’enorme impatto del lavoro femminile sull’intera economia, ecco i settori nei quali l’imprenditoria femminile è più presente: oltre alla manifattura, 1131 imprese nell’aretino a fine 2021, ci sono il settore del commercio, 2005 imprese, e quello dei servizi, 929 aziende. Anche i dati nazionali riflettono lo stesso andamento. Da sottolineare il ruolo nel comparto “servizi”: nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di attività di cura delle persone. Altri ambiti di attività nei quali i tassi di imprenditorialità femminile risultano più elevati sono il comparto aggregato che comprende le tintolavanderie, i parrucchieri e i centri estetici, il turismo, a cui segue l’agricoltura.

Quando si parla del tasso di occupazione, le cose peggiorano decisamente: “Nel 2020 il tasso di occupazione femminile italiano si attestava al 52,1%, quasi venti punti meno rispetto a quello maschile – osserva la presidente Cencini – Oltre a risultare il secondo più basso dell’Unione Europea, il tasso di occupazione femminile si è ridotto in maniera più marcata di quello maschile rispetto al 2019, a evidenziare quanto la pandemia sia stata penalizzante soprattutto per le donne. L’andamento nell’Aretino non è differente: più dell’80% delle dimissioni volontarie riguardano donne che, con le nuove problematiche insorte in tempo di pandemia, non sono riuscite più a conciliare la vita lavorativa con gli impegni familiari. Eppure, figli piccoli e genitori anziani sono gli stessi per gli uomini e per le donne. Questo indica che il problema è, essenzialmente, culturale”.

A questo aggiungiamo il gender pay gap: “Le donne in Italia continuano a percepire retribuzioni più basse di quelle maschili a parità di lavoro e mansioni. Basti dire che, nella media delle imprese del settore privato, la retribuzione oraria dei dipendenti di sesso maschile supera quella femminile di 7,2 punti percentuali”.

La pandemia, la guerra alle porte, il senso di incertezza crescente, spingono verso una direzione: “L’Europa, con un piano di grandi riforme e di investimenti strutturali indispensabili per la ripresa, ha chiesto al nostro Paese un impegno chiaro che possa condurre al superamento dei tanti gap riguardanti il lavoro femminile. Parte degli obiettivi del PNRR vanno proprio in questa direzione. Il lavoro delle donne, se sostenuto e riconosciuto finalmente strategico, contribuisce alla crescita dell’economia e alla creazione di una società più giusta”.