Binazzi CNA: mettere in sicurezza le imprese con contributi sul calo del fatturato e congelamento dei costi fissi

Una piccola impresa su quattro teme di chiudere nel 2021 se l’attuale stato di difficoltà dovesse protrarsi nei prossimi mesi. È quanto emerge da un’indagine condotta dal Centro Studi CNA tra gli associati sulle aspettative per il nuovo anno.

Il 40% degli imprenditori, dopo il forte ridimensionamento subito nel 2020, ritiene che nel 2021 non tornerà ai livelli precedenti. Il 27% teme di cessare l’attività nei prossimi mesi. Il 24% crede di riuscire a recuperare nel corso dell’anno le perdite accumulate l’anno scorso, solo il 9% prevede un incremento rispetto ai risultati pre-covid.

Il giudizio su quello che sarà il futuro prossimo varia in base al settore di appartenenza. Le attività che temono la chiusura sono quelle che hanno subito danni economici gravissimi dai blocchi e dai forti rallentamenti imposti dall’emergenza sanitaria (turismo, artigianato artistico, trasporto, servizi alla persona). Segnali più positivi arrivano da quanti operano in aree come i servizi alle imprese, il comparto edilizio (per le attese riposte nel superbonus 110%), quello manifatturiero.

“Sui giudizi delle imprese nell’indagine nazionale, a cui hanno partecipato anche aziende aretine – osserva Franca Binazzi, presidente CNA Arezzo – pesano i meccanismi dei ristori previsti dai decreti governativi. Per cercare di uscire da questa situazione drammatica i contributi economici alle imprese devono superare la logica dei codici ateco e basarsi sulla diminuzione del fatturato, unico strumento che effettivamente fotografa l’andamento aziendale. È da mesi che lo ripetiamo alla luce di un meccanismo, quello dei ristori, che ha penalizzato attività formalmente aperte ma di fatto chiuse. Aperte poi con tutte le regole del distanziamento quando lo stesso non sembra valere per i trasporti pubblici o per gli ipermercati. Un parametro, quello della perdita di fatturato calcolato sugli anni 2019-20, da applicare ad ogni tipo di intervento: dai decreti nazionali ai bandi regionali fino ai provvedimenti comunali.
Poi ci sono i fattori esterni al mercato del lavoro: dal divieto di licenziamento al massiccio ricorso alla cassa integrazione guadagni. Su tutti un dato: le aziende artigiane che nel 2020 hanno fatto ricorso agli ammortizzatori sociali sono state 2800, in forte aumento con la seconda ondata, per un totale di oltre 11 mila dipendenti coinvolti. Una situazione che fa pensare al rischio di quiete prima della tempesta con la fine del blocco dei licenziamenti fissato al 31 marzo prossimo.
Al momento la parola d’ordine è tempestività. Il crollo della domanda sta interessando gran parte del nostro tessuto artigianale, 9790 imprese in provincia di Arezzo (dato camerale al 30 settembre) che lavorano a ritmi rallentati e non possono continuare a pagare il prezzo più alto della crisi, necessitano di una scossa pubblica per ripartire, del congelamento dei costi fissi, della cancellazione delle tasse, di interventi sulla liquidità alle imprese, a partire dal superamento della normativa entrata in vigore il 1° gennaio che determina lo stato di insolvenza anche per inadempienze di un centinaio di euro. Una norma assurda ed incompatibile con l’attuale stato di emergenza, con ogni previsione di ripartenza, con le attese sugli effetti della campagna di vaccinazione appena partita”.