In: IMPRESE

Più controlli per combattere la concorrenza sleale dei self-service

“Sono self-service ma solo di facciata; nella realtà erogano ogni tipo di servizio: raccolta, lavaggio, stiratura fino alla consegna a domicilio”. A parlare è Eleonora Sorbi del gruppo di lavoro delle Pulitintolavanderie di CNA Arezzo, che a seguito di un sondaggio curato da Barbara Bennati, coordinatrice della categoria, punta il dito su una forma di concorrenza sleale sotto gli occhi di tutti a danno delle lavanderie tradizionali.

“Nel nostro settore, come in altri, – osserva Eleonora Sorbi – “self-service” significa che al cliente è offerta la possibilità di provvedere autonomamente al lavaggio; in sostanza nessuna prestazione fornita da nessun tipo di personale. Oggi invece l’apertura di una lavanderia self service sta diventando un escamotage per poter avviare l’attività superando gli obblighi di legge propri delle lavanderie tradizionali, come ad esempio la nomina del responsabile tecnico. E accanto ai macchinari, è facile trovare personale a cui il cliente lascia i capi per poi tornare a prenderli smacchiati, lavati e stirati, senza contare che c’è anche chi attiva il recapito a domicilio”.

Da un lato, quindi, CNA denuncia il proliferare di attività abusive non controllate né sanzionate, dall’altro evidenzia che la normativa vigente non incentiva chi vuol avviare o rilevare una pulitintolavanderia, settore che sta rischiando per questo l’estinzione.

Come intervenire? “Si potrebbe cominciare ad attivare un ‘alert’ già in fase di presentazione della richiesta di inizio attività – commenta Barbara Bennati – in attesa di un chiarimento normativo, diventa poi indispensabile a livello locale un’azione di controllo a tappeto delle lavanderie a gettone, per smascherare quelle che offrono gli stessi servizi delle lavanderie classiche ma a prezzi inferiori, perchè non devono sottostare a regole e normative molto severe in materia di salute e sicurezza ed ambientali”.

CNA stima che questa concorrenza sleale ha ridotto del 50% il fatturato del settore. “E’ tempo di dare un giro di vite ad un fenomeno che è sfuggito di mano agli stessi comuni – dichiara la Sorbi – ci vogliono i controlli e l’applicazione delle sanzioni previste dalla legge, che possono variare da un minimo di 1.500 euro ad un massimo di 5.000 euro fino alla chiusura dell’attività. Da qui la nostra richiesta ai Comuni di prendere posizione per tutelare imprese e famiglie che rispettano le regole. Non è una crociata contro i self-service, ma contro i self-service che non rispettano le regole e fanno della concorrenza sleale un’abitudine”.